Presentazione a cura del Centro
Culturale Enrico Manfredini
AEDO, BARDO O "EVANGELISTA"?
Ogni popolo ha alla sua origine il mito: dei e druidi, eroi e draghi segnano
l'origine della religione. Tolkien conosce le grandi saghe nordiche, ma non è
"figlio" di Merlino o di Artù, non si identifica con Gandalf: la sua
attività lo porta a conoscere i grandi personaggi omerici, e l'errabondo
Aragorn aiuta Frodo nella sua impresa. Ma Tolkien è debitore soprattutto della
tradizione cristiana: la compagnia e il cammino, il male e il bene, l'apparenza
svelata, l'appartenenza (necessaria) all'uno o all'altro anello, la tentazione e
la debolezza, la misericordia e la Grazia. Proprio perché Tolkien è
profondamente cristiano non parla mai, nella sua opera di Cristo. Ci pensa la
realtà a parlare di Lui ("l'unica Persona sempre presente, che non è mai
assente e mai viene nominata", Lettera 192).
LE PAROLE E IL MONDO
Tolkien come "subcreatore" di alfabeti, linguaggi, uomini, spazi. Due
aspetti vale la pena di sottolineare:
a) la sua passione e il suo impegno in campo filologico.
Se si potesse trovare una forma sintetica di espressione, potremmo dire che
"se all'inizio c'è il Verbo, non dobbiamo avere paura (e non dobbiamo
inaridire nella chiacchiera) dei nostri piccoli verbi". Anche le forme
espressive di Tolkien sembrano testimoniare questo:
- i suoi sono libri di "fabula", di "mito" (non di
"allegoria", come quelli del suo amico C.S. Lewis);
- i suoi personaggi amano le ballate e i racconti;
- Tolkien stesso "si perde" in digressioni: la realtà è grande ...
b) il Verbo non è solo una "parola", in accezione nominalista. Nomina
sunt consequentia rerum. C'è bisogno della Realtà perché le nostre parole
siano "reali": Tolkien "sub-crea" un mondo reale. La realtà
non è solo quella riconducibile ad una somma di sensazioni, deduzioni,
illazioni, conclusioni: è e rimanda a qualcosa d'altro. La funzione del mito è
approssimarsi a questo qualcosa d'altro.
UNA STRANA COMPAGNIA
È una compagnia eterogenea e "scalcagnata" quella che permette a
Frodo di portare a termine la sua missione. Una compagnia fatta di persone che
tradiscono e riprendono, una compagnia guidata al Destino. È impressionante
l'analogia con la Chiesa.
La Chiesa aveva, per Tolkien, il volto delle persone a lui vicine: la madre,
Padre Francis dell'Oratorio di Birmingham (amico e collaboratore del Card. J.H.
Newman), Padre Murray, ... Ma la compagnia di Tolkien era fatta anche di altri
amici: quelli del TCBS e gli Inklings. Tra amici discutevano di letteratura, si
leggevano a vicenda quello che scrivevano, bevevano birra e fumavano. Tra
questi, spicca C.S. Lewis (per la cui conversione fu decisiva l'amicizia con
Tolkien), col quale Tolkien amava parlare, e magari anche litigare, delle
rispettive opere e della fede che muoveva entrambi in modo identico quanto a
passione, in modo diverso quanto alle forme espressive. Forse, se il successo de
"Il Signore degli anelli" non fosse stato così imponente, Lewis e
Williams (ma anche Chesterton) non avrebbero interessato più di tanto le case
editrici italiane.
CONTRO, PRO, NEMICI, SEGUACI: UN EQUIVOCO?
L'apparizione de "Il Signore degli anelli" suscitò ostilità (in
Italia) o entusiasmo (negli Stati Uniti); mai, tuttavia, un atteggiamento
tiepido. In Inghilterra fu "bollato", in primis, come "romanzo
cattolico". Tale critica, tutt'altro che benevola nelle intenzioni, risulta
comunque nella sostanza la più lucida e la più corrispondente al vero - come
testimoniano inconfutabilmente le lettere dello scrittore, ora pubblicate anche
in Italia.
- I pro, nella versione più sciocca amano Tolkien all'americana (i
"Gandalf Club" cercano ne "Il Signore degli anelli"
l'equivalente elfico delle "droghe"): fuga dalla realtà,
dall'apocalisse, da una natura abbandonata da Tom Bombadil.
Ma anche i pro più intelligenti sembrano cadere nell'equivoco di esaltare la
tradizione col suo depositum di virtù nella sua fissità: l'attacco alla
violenza della modernità diventa una sorta di velleitaria giurisdizione
dell'antico sul nuovo. Il problema, semmai, è la devozione alla tradizione
nell'istante: la vera modernità è la fede.
Neppure può essere considerata corretta la pur affascinante lettura agnostica
di Tolkien fatta da E. Zolla ("gli gnostici pensano più profondamente, ma
non più veramente"), con tutte le derivazioni spiritualiste, panteiste,
new age, di "destra". Generalmente l'iniziato vive una sorta di
"enfiagione intellettuale", non aspetta la salvezza e, se viene, non
la riconosce (Frodo, invece, è "povero di spirito",
"antieroe").
- I nemici, in particolare la critica di sinistra, accusano Tolkien di
conservatorismo, di "escapismo", di non-impegno. Gli Hobbit non
suonano i pifferi della rivoluzione, al massimo fumano "erba- pipa";
non sono artefici della loro fortuna, ma "mezzi-uomini"; non credono
al progresso né alla condanna giacobina del passato. Fu questo il motivo
dell'odio italiano per Tolkien e dell'ostracismo malriuscito nei confronti dei
suoi libri.
Tolkien fu accusato di "evasione"; ma il contrario della realtà non
sono la fantasia o l'immaginazione (lati umani della fede): il contrario della
realtà è l'utopia, il "nessun luogo" della violenza o del sogno. Il
"nessun luogo" è il nessun corpo, il velo nero che copre i cavalieri
di Mordor.
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