Intervento di Franco Cardini
Temo che sarò più lungo di quanto dovrei, perché quando le cose da dire sono
tante, soprattutto quando vengono dette cose belle e importanti, come sono state
dette finora, in realtà il quadro non si semplifica, ma si complica. Io
proverò una decretazione parziale di Tolkien, perché accanto al Tolkien
medievista, e medievalista di grande livello, esistono evidentemente molti altri
Tolkien che sono stati qui delimitati.
L'uomo che viene da lontano, dalla Germania, il Sudafrica, queste sono le sue
vicende familiari, della sua gente, della sua famiglia che senza dubbio hanno
lasciato tracce profonde nel suo modo di concepire il mondo e anche di concepire
quell'arte per la quale noi lo ricordiamo, piuttosto che non (e forse è giusto)
per le sue fatiche erudite. Poiché il Tolkien che ha vissuto i suoi tempi, con
gli idoli culturali dei suoi tempi, con l'ombra ancora lunga sul suo paese,
nella sua Inghilterra, in tutta Europa, del romanticismo, che per un verso
trovava una soluzione nel Tolkien medievalista, e per un altro probabilmente si
prolungava anche nei gusti, nel modo di vedere il mondo, di atteggiarsi, di
vivere, di fumare la pipa, di concentrarsi su certe letture, di circondarsi di
certi oggetti. Poi c'è il Tolkien che conosce le scritture, il biblista, il
conoscitore di scritture, non solo canoniche, ma apocrife.
Naturalmente non mi nasconderò dietro il dito di una postevoluzionistica
ricerca di fonti, perché sappiamo benissimo che le fonti sono molto spesso,
soprattutto quando si fa un lavoro artistico, e non un lavoro erudito, più un
ancoraggio o un qualcosa che si metabolizza e poi si riusa liberamente, che non
piuttosto un materiale di cui fare oggetto per note a piè di pagina o per
polemiche fra studiosi, fra specialisti. Però di tutto questo quadro, come del
mondo politico, del suo tempo, se ne è parlato più volte stamani, e quindi
delle legittime, sacrosante propensioni di Tolkien, nei confronti delle sue
prese di posizione nei confronti del nazionalsocialismo, nei confronti del
comunismo, anche di questo bisogna tener conto, perché evidentemente queste
cose rifluiscono nel lavoro di studioso, nel lavoro di scienziato, non si può
scrivere mai, per quanto si faccia, nemmeno una riga che non sia condizionata
dal nostro essere, immaginarsi poi quanto profondamente rifluiscano in un opera
che è poi stata l'opera della vita, il Lebenswerk di Tolkien, anche nei
confronti del suo prossimo immediato, e anche questa mi pare che sia una
precauzione davvero da preporre per capirlo bene, perché l'uomo scrive per i
suoi, scrive per se stesso, non scrive per diventare famoso, non scrive per
diventare ricco, non scrive per vincere concorsi o cattedre. Scrive per se
stesso. Evidentemente per fare lui stesso quello che Jung chiamerebbe il
processo di individuazione (e che i cristiani chiamano in un altro modo) per
arrivare a conoscere meglio se stesso e per arrivare anche a conseguire
qualcosa.
La prima Quest, la prima cerca, prima di farla fare allo Hobbit, che puoi si
sbarazza con molti dubbi, come sappiamo, del peso dell'Anello del potere, la
compie proprio lui. Il romanzo, se di romanzo iniziatico si deve parlare, è
lontano da soggezioni di tipo esoteristico, senza dubbio questo è anche un
romanzo iniziatico, ma se ne deve parlare come Pilgrim's Progress, per dirla con
un'opera, quella di Bunyan, che Tolkien aveva sempre presente e che amava
moltissimo, anche se io ne parlerò meno forse perché l'amo meno, o perché la
conosco meno, perché, facendo il medievista, quest'opera del grande barocco
inglese mi sfugge un po', ma siccome è un opera ispirata a un genere letterario
medievale, che per fortuna, oserei dire, per grazia di Dio, mi capita di
praticare spesso, che è la cosiddetta peregrinatio animae, la soluzione mistica
del diario di pellegrinaggio che era un topos, una letteratura comunissima nel
mondo medievale.
Questa letteratura di viaggio, e qui non a caso, abbiamo parlato di Faust, si è
parlato di Divina Commedia, si è parlato di Odissea, si è parlato dell'Ulisse
di Joyce, cioè di letteratura di viaggi e se ne potrebbero aggiungere anche
altre, sia pure di un certo. Tipo di viaggio, ma verrebbe da chiedersi, se
l'umanità è mai riuscita a metaforizzare l'avventura della vita fuori dai
termini propri della metafora del viaggio. Ma su questo tornerò alla fine delle
cose che vorrei osservare.
A Tolkien è capitato il dono (perché pare che anche le sofferenze siano doni,
anche se è un po' difficile accettarlo anche per quelli di noi che fanno
professione del cristianesimo) la peggiore condanna, credo, che possa capitare a
un autore, perché è diventato una bandiera di gruppi in lotta fra loro, è
diventato una bandiera nel corso di un grande, colossale, e a volte un po'
tragicomico dialogo tra sordi. Tutte le scempiaggini che sono state dette sul
Tolkien di destra, sul Tolkien esoterista, sul Tolkien impegnato in questa e in
quella battaglia, sul Tolkien servo di questo o di quel gruppo politico, e così
via. Certo non si è responsabili dei propri seguaci o dei propri estimatori,
non sempre per lo meno. Ma evidentemente, se si hanno certi seguaci e non altri,
certi avversari e non altri, tutto ciò risale a una serie di motivi che certo
devono essere decrittati perché sono stati decrittati male.
Io faccio lo storico e non faccio particolare professione di appartenere a
questa o a quella scuola, certo ho dei maestri e uno del miei maestri è Ernesto
Sestaun(?), weberiano di ferro, anche perché se non altro nella sua giovinezza
austro-ungarica, lui era un trentino, anzi un istriano che aveva studiato a
Trento, aveva combattuto anche lui nella Prima Guerra Mondiale, dalla parte
opposta, naturalmente, a quella di Tolkien, nell'esercito imperiale, ed era
strettamente legato alla grande esperienza di Max Weber; egli mi ha insegnato
che fare della storia significa fondamentalmente disincantare la realtà. Non
disincantarla nel senso di sottrarre quel senso di stupore e di meraviglia che
c'è sempre nella storia come davanti a tutto ciò che appartiene alla
creazione, ma nel senso di togliere dalla storia l'incanto malefico della
menzogna. Lo storico, se fosse buono storico, dovrebbe uscire ed avere
l'intelligenza, la cultura, e anche il coraggio di fare questo. Non dico che gli
storici ci riescano spesso, probabilmente non ci riescono quasi mai. Per lo meno
ci dovrebbero provare.
Un fenomeno questo della fortuna di Tolkien tanto più inquietante perché, se
da un lato ha presentato un tipico sviluppo consumistico, non a caso ha avuto
proprio l'ulteriore sfortuna di piombare al tempo del boom di questo fenomeno
complesso e con tanti aspetti, alcuni dei quali inquietanti, che è stato il
consumismo, fra gli anni '50/'60; dall'altra parte si è imposta e si sorregge
su un messaggio che appare datato, vedremo poi se veramente lo è (lo abbiamo
già visto in parte), di aspetti tanto più radicalmente anti moderni, anti
occidentali per tanti versi, anche se la terra beata di Tolkien è situata
geograficamente a ovest, in questa specie di geografia metaforico immaginaria
che Tolkien traccia, che è senza dubbio dotata di un grande potere di
evocazione cosmica.
Padre Sommavilla ne ha parlato come di un Est di cui si allungano ombre su un
ovest ancora felice, ma impaurito. I riferimenti politici alla Germania
nazionalsocialista, all'Unione Sovietica si leggono in trasparenza, ma non basta
fermarsi a questo. Allora il piano della Weltanschauung di Tolkien appare
continuamente intessuto di simboli ai quali si sarebbe tentati di fermarsi
riduttivamente almeno per avere un ancoraggio, ma ai quali invece non ci si deve
fermare.
È vero che quando negli anni '50 il caso Tolkien scoppiò nell'Unione
Sovietica, in Gran Bretagna, per giungere a toccare i lidi della nostra Italia
solo, come è stato ricordato, agli inizi degli anni '70, o un po' prima, ma,
come è successo allora, ancora non si sospettava che la beata società del
benessere sarebbe entrata in crisi di lì a qualche lustro, e che oggi ormai
dopo il '68 e tutto il resto, che ha molto toccato la mia generazione, non la
generazione di quelli che tra i più giovani mi stanno in questo momento
ascoltando, o molto meno. Ma la popolarità di Tolkien fra i giovani e i
giovanissimi in Italia è stata soprattutto un fatto post-sessantottesco. Per
molti la rottura del cerchio magico, o del cerchio diabolico post-sessantottesco
(e ciò sia detto senza voler formulare nessun post hoc, ergo propter hoc)
esiste in tutto l'occidente, adesso, anche un'industria culturale della crisi,
come esiste un consumismo, un anti consumismo, come esiste, oserei dire, un anti
ecologismo dell'ecologismo. Ma i libri di Tolkien non vi appartengono, se non
marginalmente, (Tolkien è veramente uno fuori dal coro è un grande marginale e
fa opposizione, resistenza, quando lo si vuol mettere al centro delle cose,
anche al centro dell'attenzione, anche al centro della popolarità). Non
appartiene Tolkien se non marginalmente al filone dell'inquietudine
contemporanea al contrario è un uomo, come uomo, come studioso, come padre di
famiglia, molto poco inquieto. Quindi non appartiene al filone della
science-fiction o della heroic fantasy, anche se di tutte queste cose è
compartecipe nella misura in cui le ha influenzate e in parte forse le ha anche
costeggiate, le ha praticate, non tanto nel loro prodotti, quanto nelle radici
profonde da cui esse uscivano. Quindi Tolkien non appartiene neanche al filone
medievale prossimo venturo e delle guerre stellari, anche se ne ha attraversato,
per tutti altri motivi, le radici da cui questi filoni culturali, o semi
culturali, o pseudo culturali, o para culturali, hanno tratto linfa più o meno
vitale. A diversità di George Orwell, di Lewis Powells, di Roberto Vacca,
Tolkien non ha mai inteso fungere da specchio magico delle angosce
contemporanee. A differenza di Isaac Asimov non ha mai fatto della futurologia
comunque atteggiata a della fantascienza rivisitata.
Bisogna forse dire un po' di più. Tolkien come studioso di Middle-English,
dell'inglese medievale, studioso, soprattutto all'inizio, di una grande opera
dell'alto medioevo anglosassone, che poi è rimasto profondamente nel suo DNA
mentale, nella sua memoria, nella sua fantasia, perché l'ha letto, riletto,
chiosato, smontato e rimontato proprio in quanto faceva il filologo e la
filologia è scienza eminentemente analitica. Quest'opera è il Beowulf. Poi ce
ne sarà un'altra. Sto parlando delle fonti medievali di Tolkien, non sto
dicendo che questa è la chiave assoluta, nemmeno privilegiata per leggere la
sua opera. Editore, più tardi, non solo di Beowulf, ma di un'altra grande
opera, questa del basso Medioevo Inglese, del XIV/XV sec., Sir Gawain and the
Green Knight, Sir Galvano e il Cavaliere Verde, riproposta poi più volte in
italiano, recentemente da Adelphi. Questo Tolkien rivendica il diritto dell'uomo
libero a rimanere, in un modo o nell'altro, e nel modo che egli responsabilmente
sceglie, estraneo alla realtà del suo tempo, estraneo che non vuol dire
evidentemente avulso, ma forse la stessa parola estraneo è male scelta, diciamo
indipendente, quanto si può esserlo ragionevolmente, libero, quanto è
possibile esserlo rispetto alla realtà del suo tempo. Il che non vuol dire
prendersi delle responsabilità, evidentemente, vuol dire, come senza dubbio
direbbe meglio di me Paolo di Tarso: "Stare nel mondo, ma non essere del
mondo".
È noto che On Fairy Stories, il primo saggio di Tree and leaf (Albero e
foglia), egli ha lucidamente, coraggiosamente teorizzato la legittimità
dell'evasione fantastica in un mondo anche intellettuale che ribadiva invece,
qualche volta in modo noioso, in modo conformistico, in modo illiberale, la
teologia, nel senso laico metaforico del termine, dell'impegno assoluto, quando
ci si ripeteva anche da parte di certi dittatori intellettuali del tempo, che lo
studioso non poteva essere se non intellettuale impegnato, se proprio non
riusciva, non sapeva accedere al livello massimo di intellettuale organico.
Quindi il rifiuto dell'uomo libero e pensante di lasciarsi totalmente
influenzare dalle contingenze del suo tempo, il suo diritto all'evasione e qui
dice molto bene Zolla (col quale non sono sempre d'accordo) nell'introduzione
alla prima edizione fortunata di Rusconi: "diritto all'evasione non come
diserzione del guerriero, che è comprensibile, ma non è legittima, bensì come
fuga dal carcere che è sacrosanta". Il prigioniero ha diritto di fuggire
dal carcere, che configura un rapporto col prigioniero da lager.
Alla luce di ciò, la sensazione di estraneità di Tolkien rispetto al proprio
tempo contingenze, non può che risultare come una grande lode. Ma è una delle
cose che invece gli sono state ascritte a torto, è una delle cose che hanno
fatto sospettare di lui da parte di qualche studioso, di qualche giornalista
meno accorto, un odore di posizioni politiche poco ortodosse, poco meditate, o
addirittura negative.
Evidentemente, qui non si tratta di insensibilità dinanzi a grandi problemi
contemporanei. Abbiamo letto le lettere di Tolkien e abbiamo visto quanto
seguisse (anche se anche lì non se ne lasciava mai imprigionare più di troppo)
la realtà contemporanea. Si tratta semmai, al contrario, di saper leggere i
problemi contemporanei, di non assolutizzarli, di saperli contestualizzare e
valutare alla luce disvalori qualitativamente diversi e più alti.
Di Tolkien ormai, se non proprio tutto è stato detto moltissimo. Soprattutto si
è insistito, ed io tornerò ad insistere sul carattere che è, non
assolutamente, forse nemmeno primariamente, ma certo profondamente erudito del
suo modo di reinventare il mito, del suo modo di scrivere fiabe, e di
fantasticare. C'è un modo popolare di descrivere la fiaba, non insistiamo nel
definire l'aggettivo popolare, penso che ci si possa essere, nelle grandi linee
di esso, capiti con buona pace degli antropologi. C'è un modo evidentemente
spontaneo, anche sulla spontaneità si dovrebbe discutere, di rileggere la
fiaba; c'è un modo anche libero, leggero, ma sulla levità di un Collodi o di
un Andersen è stato detto molto, anche da illustri personaggi presenti in
questa sala, quindi non insisterò. Tolkien fa il medievista e non può, non
vuole, fra l'altro, uscire dal suo campo specialistico mentre ricostruisce
magari anche per sé, per i suoi cari, per i suoi famigliari, questo universo di
miti. Osserviamo, semmai un'altra cosa, che cioè nonostante l'attività di
Tolkien quale studioso, quale docente universitario fosse in fondo
universalmente nota anche presso i suoi più o meno distratti lettori di cose
che esulavano dalla sua professione, e nonostante si sia anche passabilmente
messa ben a fuoco la rete di rapporti fra gli studi scientifici da lui condotti
e i suoi scritti di "evasione", diciamo così, il termine è ambiguo,
provocatorio e inadeguato, che sono poi quelli a cui poi invece è stata
affidata la sua più solida e duratura fama, non si è mai nemmeno riflettuto,
se ho ben visto nemmeno in buone e recenti bibliografie, sul lavoro da lui
svolto come filologo e come specialista di letteratura inglese medievale, non
tanto in quanto tale, ma proprio in rapporto al suo lavoro di (vogliamo dirlo
con un termine un po' intrigante) mitografo. E questo è importante perché i
due lavori non si sono svolti in parallelo; perché tra i due lavori c'è un
intreccio, un rispondersi continuo, perché il discorso della lettura parallela
del Tolkien medievista e del Tolkien affabulatore, scrittore, se portato oltre
un certo segno che può essere quello della semplificazione necessaria al
critico che ne scrive, è pericoloso. Rischia di proporci un Tolkien
schizofrenico, un dottor Jekill che di notte racconta le fiabe, un Mr. Hide che
di giorno si trasforma in un pesante docente universitario, redattore fra
l'altro delle più pesanti, anche interessanti, se si vuole, tra le opere di
genere erudito possibile, cioè di dizionari. Fra un Tolkien aridamente erudito
di giorno e un Tolkien fervido inventore di fiabe, e magari religioso inventore
di fiabe di notte.
Più precisamente non si è mai abbastanza riflettuto, forse non si finirà mai
di riflettere, perché mi chiedo se Il signore degli anelli (forse è un po'
troppo presto per rendersene conto) non sia una di quelle cose destinate a non
passare nella letteratura mondiale, non dico accanto a chi perché il discorso
potrebbe portarci troppo lontano, perché potrebbe sembrare eccessivo, ma certo
Il signore degli anelli non è Il nome della rosa. E anche se, come
probabilmente sanno, molti di loro che mi seguono anche un po' nelle mie
attività un po' impertinenti in tutti i sensi di pubblicista, io sono
tutt'altro che un disestimatore dell'autore del Nome della Rosa. Anche su questo
forse bisognerà riflettere, ma noi in questo momento, in questa sede, in questi
anni, non abbiamo ancora gli strumenti per farlo. Veramente la parola su ciò
andrà ai posteri. Quello che comunque si coglie in Tolkien è il senso dello
stupore e del piacere del lavoro, e questo, direi è il primo elemento che chi
lo legga un po' tutto, anche se il personaggio ha scritto talmente tanto che è
difficile seguirlo in tutto, (ma bisogna avere un po' il coraggio, la coerenza
di leggerselo globalmente), quindi, lo so, sto facendo un po' un discorso pro
domo mea, quindi di affrontare anche il Tolkien professionale, che è il Tolkien
filologo il Tolkien medievista, chi lo legge un po' tutto recupera, invece,
anche nei suoi lavori apparentemente più aridi, (è chiaro che aridi non
sembrano allo studioso che è inadeguatamente, in fondo, un suo
"collega"), il senso dello stupore davanti alla scoperta, dello
stupore davanti all'invenzione. Quasi che egli stesso stupisse continuamente se
stesso, e che fra l'altro, è una prova di assoluto candore mantenuto durante il
lavoro di studioso, una prova di una mancanza, almeno apparente poi (non sono io
il giudice in queste cose), una mancanza almeno apparente di superbia, che segna
i caratteri di Tolkien, anche nella sua vita, e che è più unica che rara nel
mondo degli studi. Chi vi parla lo dice per cognizione di causa.
Nato, come si è ricordato nel 1892, Tolkien fece la sua prima comparsa come
Undergraduate a Oxford nel 1911, dove, fra l'altro, io mi chiedo, se non abbia
conosciuto il futuro colonnello Lowrence d'Arabia perché frequentavano colleges
molto vicini tra loro ed hanno seguito, parzialmente almeno, semimari simili.
Vedete poi destini destinati a divergere ... ma poi c'è da chiedersi quanto, in
che misura e fino a che punto a volte, si incontrano sul territorio
dell'importanza e della fertilità di Oxford. Dopo la parentesi della guerra
combattuta in Europa, torna ad Oxford nel '19. Alterna già gli studi attorno a
quello che poi sarebbe diventato il Silmarillion e del quale comincia già
(anche di questo si è già parlato stamani), quest'interesse per la
ricostruzione di mondi fantastici, per un verso, però ancorati all'erudizione
per un altro, e questo elemento biblico che è presentissimo nel Silmarillion,
accanto anche a un elemento di tipo apocalittico, è presente già nel giovane
Tolkien. Non è in quella specie di parabola che qualche volta si è segnalata
in Tolkien un recupero della maturità o dell'anzianità quando dopo vane
esperienze lui si sarebbe più profondamente piegato sul suo essere cristiano
cattolico. Questo elemento c'è già fino dall'inizio e su proposta di un
professore, William Crage, che è stato anche professore di Lawrence, e famoso
soprattutto come medievista e filologo, (era professore di anglosassone quindi
della antica lingua inglese), entra a far parte dell'equipe redazionale
dell'Oxford English Dictionary, quindi dell'opera fondamentale che ancora oggi
si continua a leggere e a consultare.
Debutta abbastanza giovane, ad un livello che, come diremmo noi italiani, per la
grande porta d'ingresso e non per una porta di servizio nel mondo della ricerca
filologico-linguistica, o della ricerca filologico medievistica. È proprio in
questo periodo che egli scrive Farmer Giles of Ham, che è un buffo rifacimento,
piccolo molto esile, molto divertente, divertito rifacimento di una saga
medievale già si configura quello che sarà l'Hobbit del futuro per un fatto.
Anzitutto un'impostazione medievistica in cui però umoristicamente,
sottolineare sempre che, badate, di Medioevo storicizzato non si parla, si fanno
degli inserti che suonano curiosamente, e per me lo confesso, alla prima lettura
sgradevolmente, perché io sono condizionato dal mestiere che faccio, non
medievalisti.
Io non ho mai perdonato agli Hobbit, che evidentemente io inserivo in un mondo
più medievale di quanto Tolkien volesse proporre, non gli ho mai perdonato di
fumare la pipa. Chiaramente il fumare la pipa è cosa eminentemente
post-colombiana, post scoperta dell'America e nel medioevo non c'era.
Istintivamente non glielo perdono ancora, così come al bravo Giles che affronta
il drago io non perdono di averlo affrontato a colpi di un brutto catenaccio,
che comunque è un'arma da fuoco. Intanto non è leale, e poi l'arma da fuoco
non funziona nemmeno, però lì Tolkien fa le prove di qualcosa che non è stato
sufficientemente sottolineato nemmeno mai da me, cioè la vena di Humor.
Sì, si è detto, lo si è detto più volte, ma lo si è detto un po' en
passant, forse lo si dovrebbe studiare attentamente, ed io ho più volte
incitato un mio vecchio amico che si occupa di letteratura anglosassone e che ha
il gusto di queste cose, che è Roberto Barbolini ad occuparsi proprio di questo
aspetto e mi risulta che ... lui mi conferma che sarebbe un aspetto importante.
Lo Humor come un proprio elemento antiurico, almeno a livello apparente. Giles e
il drago hanno questo di comune agli Hobbit, che sono impauriti tutti e due,
l'uno ha paura dell'altro. È qualcosa di veramente tipico del mondo di Tolkien,
e qui qualcuno, non mi ricordo chi, tra chi mi ha preceduto ha detto una cosa
molto importante: è tipico di un'esperienza personale anche fatta, è
l'esperienza della guerra.
Quando si sa che gli eroi non esistono, e che tutto sommato il coraggio non
consiste nel non aver paura, quello non è coraggio, quella è follia. È il
risultato delle ubriacature che possono essere propagandistiche o anche
alcoliche, al fronte succede di tutto. Ma questa non e paura. Il coraggio sta
nel vincere la paura. Hemingway che si atteggiava a guerriero, ma che la guerra
non l'aveva mai fatta, e che al fronte della città universitaria di Madrid si
era sempre ben guardato da andarci, e che stava rifugiato nei sotterranei degli
alberghi, ha detto che la paura è avere troppa fantasia, ma qui stava facendo
un discorso autobiografico. Chi invece la guerra l'ha affrontata sul serio come
Ernst Yung nelle tempeste d'acciaio, dice proprio il contrario, dice questo:
"La paura è la condizione del soldato".
Il coraggio sta proprio nel ricordarsi che il proprio essere uomini, il proprio
dover servire gli altri in battaglia, sta nel doverla vincere, perché il non
vincerla significherebbe dover mettere a repentaglio tutto quello che sta al di
la di se stesso, dalla causa per cui si è lì, alla vita del compagno che ci
sta accanto. È questa in fondo la differenza tra chi la guerra l'ha fatta sul
serio e chi ne ha parlato per far soldi o per averne fama. È importante questo
Farmer Giles, che non è stato mai troppo valutato nella letteratura
tolkieniana, proprio perché poi questi elementi antieroici, profondamente
umani, si ritroveranno tutti dopo nel capolavoro.
Proseguiamo l'avventura del Tolkien medievista, consegue il Master nell'Art
Degree, e poi il PHD, però al PHD non ci arriva, ci arriverà soltanto nel '54
e ci arriverà honoris causa. Ecco un'altra caratteristica del Tolkien
medievista, abbiamo detto che scrive per imparare e per il suo piacere, magari
anche per la sua realizzazione interiore, ma non per gli altri, in tutti i
sensi. La carriera accademica di Tolkien è stata una carriera estremamente
modesta, essendo un grande scrittore, un gran lavoratore, quasi fin grafomane,
che negli intervalli fra uno scritto e l'altro scriveva, scriveva lettere,
scriveva tutto, però non ha mai scritto per vincere una cattedra. Il PHD,
conditio sine qua non, lo ha avuto soltanto a un certo punto honoris causa. Da
un Certo punto di vista, direi che è il coronamento straordinario di una
carriera questo, perché in fondo alla cattedra come coronamento di un lavoro
ordinario, più o meno ci si arriva in molti, ma alla cattedra honoris causa ci
arrivano molto pochi. Ma anche quello non l'ha voluto fare.
Prosegue il lavoro molto umilmente sotto la guida del Craige, si occupa di
antico inglese, di medio alto tedesco, di gotico (nel senso filologico), di
gaelico, di islandese, di finnico, e tutte queste cose, dalla letteratura
gaelica al Kalevala finnico (è una ricostruzione ottocentesca, lui lo sapeva
benissimo, ma trae spunto dalle vecchie storie del popolo finnico), tutte queste
cose confluiscono evidentemente nel signore degli anelli, con un'accentuazione
sul piano dell'utilizzazione del materiale piuttosto celtico-germanico, e più
celtica che germanica. Il che è piuttosto strano in un germanista, perché
germanista egli era come anglosassonista, e fa pensare che tutto sommato ad un
certo punto una scelta di campo politica l'abbia voluta fare anche nel Signore
degli anelli, perché in quel momento quando lui scrive, quando lui elabora le
sue fantasie, la germanistica è diventata un terreno che scotta. Non per colpa
della germanistica, evidentemente, ma per colpa dell'utilizzazione demagogico
politica che si fa nella Germania Nazional Socialista della germanistica, e
queste cose le scrive soprattutto nel Father Christmas Letters, e queste cose
toccano Tolkien. Nelle Lettere di Papà Natale, gli orchetti sono evidentemente
delle S.A., sono evidentemente delle camicie blu. E allora, a quel punto ecco il
distacco, in un uomo che non ha mai nascosto per altri versi la sua propensione
per la causa cattolico nazionale durante la guerra di Spagna, riduttivamente
detta franchista.
Egli è un uomo che sapeva far scelte di campo rischiose nell'Inghilterra del
'36-'37. Nell'ambiente accademico dell'Inghilterra del '36-'37, queste erano
scelte che costavano, scelte che emarginavano. In un uomo di questo genere, e
direi proprio anche per questo, per sventare ogni possibile equivoco, davanti a
se stesso più che davanti agli altri, ecco che ci si allontana. Questo è un
modo splendido di chiarire le proprie posizioni politiche. Ci si allontana dal
tasto, dalla tavolozza della germanistica, che pure Tolkien ama, e si sceglie
invece la tavolozza celtica. Il mondo se volete anglo-franco-irlandese, il mondo
dell'occidente, che resta luminoso, ma che è minacciato da quest'ombra che
viene da oriente.
Vedete che la metafora politica c'è, è viva, è palpabile, è anche ben
decrittabile, è piena di sfumature che bisogna cogliere, perché altrimenti si
fa, appunto, quel manicheismo della critica, che non è il manicheismo sospetto
di cui è stato accusato Tolkien, ma che è il manicheismo di cui Tolkien, fino
a un futuro purtroppo molto recente è stato piuttosto vittima. Nel '22 pubblica
l'opera per cui i medievalisti lo conoscevano anche prima del Signore anelli,
tanto è vero che quando il Signore degli anelli è cominciato a circolare nelle
nostre facoltà, abbiamo detto. "Thò, è quello del Middle-English
vocabulary". E qualcuno ha aggiunto, qualche anglista che sapeva
l'avventura di Tolkien arrivato soltanto honoris causa al PHD, ha aggiunto
"ecco perché non lavorava mai dal punto di vista scientifico", il che
non è vero. Perché scriveva delle storielle, storielle lunghissime. Nel '25
assieme a Gordon (Gordon invece farà una splendida e meritatissima carriera
accademica), fornisce infine la edizione critica, e anche per questo lui è
molto noto, di Sir Galvano e il cavaliere verde, che poi è stata ripresa in
traduzione da Adelphi. Nel Galvano egli riassume anche tutta quella passione per
le letture cavalleresche, medievistiche che egli aveva fino da ragazzo.
L'Inghilterra degli anni venti, però è una miniera di sollecitazioni. Tolkien
è uomo sensibile alle sollecitazioni del tipo più vario. Come filologo, ad
esempio, ad un certo punto si intriga nei giochi di parole, che oggi piacciono
tanto alla semiologia, quelli per cui va matto Umberto Eco, per esempio. Tolkien
(?), anche in questo ha un rapporto molto complicato, con Tolkien forse di odio
e amore, in fondo, come ce l'ha con Borges, non a caso. Tolkien si occupa anche
di fare, per esempio, parole incrociate, scrive su riviste di parole crociate
che allora andavano estremamente di moda. Per allora un accademico che facesse
certe cose era guardato molto male dall'accademia ufficiale, ai tempi era molto
...
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